La cucina siciliana antica: quando cucinare “alla siracusana” era di moda.
Famose, come è noto ne’ tempi antichi, e celebrate furono in ogni parte la cucina di Sicilia, la nostra mensa, e le nostre vivande. Gli stranieri venivano tra noi ad apprender l’arte di condire i cibi, e il nostro Labdaco fu il maestro de’ cucinieri i più rinomati della Grecia: anzi da Sicilia quasi per moda e segno di grandezza chiamavano i loro cuochi i personaggi più ricchi tra i Greci…
Lo storico Domenico Scinà coglie subito il punto, a proposito della cucina siciliana antica: i siciliani – i siracusani, in particolare – erano abili e stimati cuochi, la loro cucina conosciuta e rinomata in tutto il mondo antico e gli stranieri facevano a gara per apprenderne tecniche e segreti.
Audace e creativa, la cucina siciliana di quel tempo era complessa, fatta di ricercati accostamenti ricercati e combinazioni inusuali, di contrasti forti e sorprendenti. Una cucina mediterranea di cui oggi i siciliani sono eredi, che racchiude in sé la lunga e stratificata tradizione agricola e marinara dell’isola. Perché, ancora oggi, conoscere la Sicilia attraverso la sua enogastronomia più tipica, permette di vivere un’esperienza autentica della sua storia e immergersi profondamente nella sua cultura.
Platone, che in Sicilia si recò più volte, scrisse che nell’isola si mangiava “lautamente e splendidamente, e a piena pancia due volte al giorno”. Ancora al tempo dei Romani, era diffuso il modo di dire “siculus coquus et mensa siculo”, un invito ad avere un cuoco siculo e a mangiar rigorosamente siciliano, perché questa cucina era in assoluto la migliore.
Dai siciliani e, in particolare dai siracusani, il mondo ha imparato ad apprezzare la buona cucina e le deliziose preparazioni gastronomiche. La cucina antica siracusana era talmente popolare che un comune modo di dire per indicare mense e banchetti particolarmente ricchi, lussuosi e opulenti era “come una mensa siracusana” oppure “come un banchetto siracusano”. Il cibo dei cuochi siculi era profumati e inebriante come l’incenso.
I siracusani non erano solo ottimi cuochi: se crediamo ad Archestrato di Gela, erano anche ottimi bevitori. Se qualcuno beveva troppo, per esempio, gli si diceva immediatamente di non fare come i siracusani che, ai banchetti, parevano ranocchi: “al banchetto si va per mangiare e non solo per bere, come fanno quei ranocchi dei Siracusani, che bevono vino e solo vino e non mangiano alcunché. Tu, fatti servire invece tutti gli uccelletti arrostiti della tribù, secondo la stagione”.
Le rane, infatti, erano ben note per la loro capacità di ingurgitare e contenere una grande quantità di acqua; allo stesso modo i Siracusani avevano l’abitudine di bere molto vino e non mangiare nulla durante i momenti conviviali.
Nel mondo greco, i primi maestri cucinieri siracusani, con i loro lasciti scritti di usi, consigli, ricette, indicazioni, erano considerati delle celebrità. I più noti vissero tra il V e il III sec. a. C. ed erano ricercati nella Grecia che contava per imbandire sofisticati e ricchi banchetti, per ammaliare i palati più sopraffini ed eleganti, per impararne i segreti: la Sicilia era meta prediletta per tutti coloro che, da fuori, desideravano apprendere l’arte culinaria di cui essi erano maestri. Le loro opere, di cui oggi restano solo tracce frammentarie, elevarono la gastronomia siciliana a vera arte.”
Cucina siciliana antica: Miteco di Siracusa e il primo ricettario della storia.
Nel V sec. a. C., per esempio, furoreggiava il siracusano Miteco. Si dice che fosse un sofista, che avesse creato ricette uniche e speciali, che fosse paragonato allo scultore Fidia e che avesse scritto persino un manuale – il primo ricettario della storia dell’Occidente – di cucina siciliana. A Sparta, però, non lo accolsero: troppo fieri gli Spartani, per i quali il cibo era solo un mezzo per ritemprarsi dalla fatica e non di certo un lusso. Un bisogno, per i cittadini, e “il bisogno – gli dissero – non ricerca arte”.
Tutte le altre città in cui si recò lo accolsero senza remore e con grande favore.
La cucina, per il “cuciniere siciliano” Miteco, era l’arte di saper comporre tra di loro gli alimenti. Colto ed erudito, scrisse, oltre al trattato sugli alimenti, un saggio sul condimento delle bevande, traducendo in prosa la sua arte culinaria. Insegnava a tutti come insaporire le vivande alla maniera siciliana, considerata la migliore di quei tempi.
Di Miteco ci rimane una sola ricetta, tramandata dal solito Ateneo. Come cucinare la tainia o ciapola, pesce comune nel Mediterraneo che si consuma anche oggi in zuppa o nella frittura di paranza: “taglia, scarta la testa, lava, affetta; aggiungi formaggio e olio d’oliva”.
Miteco è citato nel Gorgia di Platone – che lo riteneva abile nel preparare piatti deliziosi – insieme a un certo Sarambos, esperto nell’arte del buon bere, considerato il primo enologo della storia.
Cucina siciliana antica: i due Eraclidi, Terpsione e Labdaco.
Con il nome di Eraclide, le fonti antiche si riferiscono a due non meglio identificati e distinti personaggi vissuti nel III sec. a. C., due cuochi che, in alcuni scritti, hanno lasciato interessanti accenni sulle abitudini culinarie dei siracusani: per esempio, su quali erano le migliori uova da mangiare e cioè quelle di pavone (poi quelle di oca e solo dopo quelle di gallina); inoltre, sancivano l’importanza del pesce nell’alimentazione e – lo sappiamo da Archestrato di Gela – i Siracusani erano i migliori nel cucinare ed esaltare i sapori del pesce da scoglio.
Labdaco di Siracusa fondò, nel III sec. a. C., la prima scuola di cucina.
Terpsione, che pare sia stato anche autore di una Gastronomia, ne raccolse l’eredità e fondò una sua accademia culinaria dove si insegnava l’arte di preparare i banchetti, accogliere e servire gli ospiti e trovare i corretti abbinamenti tra cibo e vino.
Furono dei punti di riferimento della cucina di quell’epoca, come appare dalle parole di un cuoco, riportate da Ateneo: “ho io appreso così bene a cuocere le vivande in Sicilia, che per il piacere farò ai commensali morsicare i tegami ed i piattelli”. Entrambi fautori di una cucina più naturale, in cui i sapori non fossero coperti da un uso eccessivo di salse, intingoli, lunghe cotture, furono molto severi e critici con alcune, diffuse abitudini culinarie siracusane. Terpsione, nella sua Gastronomia, codificò delle “regole” culinarie e suddivise gli alimenti tra buoni e cattivi per la salute e inserì suggerimenti e precetti per cucinare bene, in maniera il più possibile salutare, senza eccessi e con gusto.
Precetti, consigli, abitudini, tradizioni: Miteco, Lampsaco, Terpsione, Sarambos hanno definito i principi teorici e pratici della tradizione gastronomica siciliana che, ancora oggi, nella creatività delle sue pietanze, nella cura delle sue preparazioni e nella scelta oculata degli abbinamenti con i vini tradizionali, esprime il meglio della cultura enogastronomica isolana e mediterranea.