Vini di Sicilia: tutto ebbe inizio con un viaggio per mare
Vive presso il mare la donna della vigna, colei che fa il vino.
Siduri siede nel giardino sulla riva del mare con la coppa d'oro e i tini d'oro che gli Dei le diedero".Epopea di Gilgamesh
Nell’Epopea di Gilgamesh, III- II millennio a.C, l’incontro tra la donna della vigna e l’eroe Gilgamesh simboleggia la costante aspirazione alla conoscenza e alla ricerca dell’immortalità, di cui la vite e il vino erano simbolo presso gli antichi Sumeri.
Tutto ebbe inizio, a quanto pare, nelle lontane terre d’Asia, laddove, pur non coltivando la vite, i popoli mesopotamici già conoscevano e apprezzavano il vino, privilegio dei ceti nobiliari. Da qui comincia l’avvincente viaggio della vite e del vino, da sempre strettamente connessi alle vicende degli uomini, ai loro spostamenti e al mare, attraverso cui avvenivano gli scambi culturali e commerciali tra i popoli.
La storia del vino è una storia di viaggi per mare, di navi che solcano le onde, di imperi che ne contendono il dominio e il controllo: è sempre stato una risorsa.
Questo viaggio per mare inizia, come tutti i viaggi per mare, da terra.
Dai più antichi semi di uva ritrovati dagli archeologi nella Georgia del sud, risalenti almeno a 7000 – 5000 anni prima di Cristo. Se è vero che alcune caratteristiche sono tipiche solo dell’uva coltivata e non di quella selvatica, gli studiosi hanno potuto facilmente datare a 5000 anni prima di Cristo il fatidico passaggio dalla vite spontanea e selvatica a quella coltivata (vitis vinifera o sativa).
L’uomo “inventa” la viticoltura e inizia l’avventura del vino nel mondo.
Dalla regione del Caucaso poco ci volle perché la coltivazione della vite si diffondesse sulle coste orientali del Mar Mediterraneo. Perché i Fenici, naviganti di chiara fama e abili commercianti, iniziassero a intessere la loro tela di relazioni commerciali anche con l’Occidente. Perché i Greci ne divenissero fieri cantori, lo elevassero a bevanda eletta nei simposi e nei riti religiosi e ne promuovessero la circolazione in tutto il mondo occidentale, passando per la Sicilia.
Il vino di Sicilia tra mito e storia
Il mito ritrae il dio del vino Dioniso nei suoi innumerevoli viaggi per mare. Nell’antica coppa attica di Exekias (530 a. C.) è mollemente adagiato sul ponte di una nave e tiene in mano un corno potorio. Sull’albero, si intrecciano tralci di vite carica di grappoli corposi. Dalla Tracia il suo culto si diffuse dapprima in tutta la Grecia e poi in Occidente. In questo viaggio attraverso il Mediterraneo, il mito ci fa scorgere il percorso con cui la vite si diffuse in Occidente.
Se nell’Iliade di Omero, il mare è scuro come il vino, nel viaggio di Ulisse verso Itaca il vino greco che porta con sé è rosso, dolce come il miele, molto forte, da bere con venti parti di acqua. Giunto sulle coste della Sicilia, con questo vino ingannerà Polifemo che tre volte, nella sua follia, lo bevve fino alla feccia. Abituato, infatti, a un vino leggero ricavato probabilmente dalla vite selvatica, il terribile Ciclope non resse quel vino così forte e questo decretò la sua fine, accecato da Ulisse.
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I grandi traffici mediterranei dell’età arcaica passano tutti per il canale di Sicilia che, come tutta la Magna Grecia, era detta Enotria, “paese delle viti”. Strabone, il grande storico e geografo greco vissuto tra il 63 a.C. e il 24 d.C., lo conferma quando racconta che i vigneti siciliani producevano vini che potevano gareggiare con i migliori d’Italia allora conosciuti. E Diodoro Siculo aggiunge che l’isola si gloriava di aver servito tre divinità: Cerere per il grano, Apollo Termite per la ricchezza e la purezza dell’acqua, Bacco per il vino.
Deve molto al mare, la Sicilia, terra di antichi vitigni che dal mare giunsero portati dai Greci. L’isola – racconta Sofocle – fu tra i primi luoghi protetti dal dio Dioniso. Qui la vite fu coltivata molto prima che nel resto d’Italia, ne fu la porta d’ingresso, tappa quasi obbligata degli itinerari diretti verso il Mar Tirreno.
Quando i Greci raggiunsero l’estremità orientale della Sicilia, decisero di stabilirsi qui. Fino a quel momento la vite cresceva selvatica, ma i Siculi, che l’abitavano prima dei Greci, utilizzavano rudimentali sistemi di allevamento della vite “maritata” a degli alberi come sostegno. Conoscevano, con tutta probabilità, anche la fermentazione dei frutti, almeno quella spontanea.
Con l’esperienza, la conoscenza e la perizia, i Greci non fecero altro che migliorare, diffondere e canonizzare quanto già esisteva, elevando allo stesso tempo la qualità dei vini, intorno alla cui produzione costruirono un florido commercio. Fu grazie ai primi contatti e scambi commerciali che la vite giunse in Sicilia e nel tempo, le diverse varietà combinate con le caratteristiche pedoclimatiche di questa terra diedero vita a vini della Sicilia particolari e unici.
Come il vino Pollio siracusano, il più antico vino d’Italia e d’Europa.
Caratteristiche e zone di produzione del vino siciliano
Nel corso della storia, il mare ha avuto un ruolo primario nello sviluppo e nella diffusione del vino tra i popoli, ma al di là dei traffici commerciali che, nel mare, ebbero la via principale, le terre vicine al mare sono spesso luoghi particolarmente adatti alla coltivazione della vite e ne influenzano le caratteristiche organolettiche.
La Sicilia è una ricca regione vinicola. Secondo i dati Istat, nel 2021 la produzione di vino siciliano è stata di 6 milioni di ettolitri, con una crescita di oltre il 20% rispetto agli ultimi dieci anni, con un export che, nel 2022, ha fatto registrare una crescita del 21%, per un valore pari a 170 milioni di euro.
Come racconta Omero, la Sicilia è il luogo in cui «tutto spunta senza seminare, senza rivoltare la terra, il grano, l’orzo, le vigne cariche di frutti succosi che la pioggia di Zeus gonfia», un territorio naturalmente vocato alla viticoltura fin dai tempi più remoti per via della ricchezza dei suoli, della morfologia dei terreni e del clima mediterraneo. Le principali zone vinicole della regione sono tre: l’area del trapanese, con il suo susseguirsi quasi ininterrotto di vigneti; l’area dell’Etna, con i terroir tipici del vulcano; la provincia di Siracusa, cuore del sudest, con il lento scivolare dell’altopiano ibleo verso il mare e il miscuglio di calcareniti argillose e antichissima roccia vulcanica, risalente ad almeno 24 milioni di anni fa.
Prevale la produzione di vini bianchi, soprattutto autoctoni, come Albanello, Catarratto, Inzolia, Grillo, Carricante, Grecanico Dorato, Zibibbo, Malvasia di Lipari, Minnella Bianca, Moscato Bianco; per quanto riguarda i rossi, vini siciliani famosi sono il Nero d’Avola, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Frappato, Nocera, Perricone.
Se ci soffermiamo, in particolare, sulla zona del siracusano, nella Sicilia orientale, i terreni sono un misto di sabbia e calcareniti molto tenere, risultato di antiche sedimentazioni marine. In letteratura geologica si chiamano panchina e rappresentano un particolare tipo di deposito marino costiero, presente soprattutto lungo le coste della Sicilia e della Sardegna: arenarie, conglomerati di resti fossili come molluschi, formazioni sedimentarie che si sono stratificate nel tempo, trasportate dal mare e, infine, coperte di terreni agrari resi fertili dagli strati sottostanti di calcareniti e sostanze organiche. Come una spugna, questi suoli assorbono acqua quando piove e rilasciano molto lentamente l’umidità e i minerali di cui sono particolarmente ricchi, data la loro peculiare composizione, e che nutrono le piante di vite nel corso delle stagioni.
La vicinanza del mare, poi, ha un ruolo importante: in condizioni meteorologiche normali, le temperature si alzano di giorno e si abbassano di notte grazie alla brezza fresca e umida. Questi sbalzi di temperatura influiscono positivamente sulla qualità dell’uva perché permettono di avere una buona qualità di grappoli, una lenta maturazione e di sviluppare aromi particolari e molto intensi come quelli che ritroviamo in alcuni dei vini tipici siciliani di questa zona, come l’Albanello, il Moscato di Siracusa, il Nero d’Avola.
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