Che vino bere con la chiacchiere di Carnevale?

Dalle frappe alle bugie, dai cenci ai crostoli, un dolce filo dorato di bontà unisce le diverse regioni del nostro paese durante il periodo carnevalesco. Le chiacchiere, con la loro consistenza croccante e il loro sapore irresistibile, sono un simbolo di gioia e festa che affonda le radici nella tradizione italiana.
Che vino bere con le chiacchiere di Carnevale

Chi ha inventato le chiacchiere di Carnevale?

Scalderai in una padella del grasso. Le cucinerai una alla volta o due alla volta; le girerai frequentemente con due cucchiai di legno; quando saranno cotte le toglierai; le bagnerai con del miele; sbriciolerai sopra semi di papavero: le servirai in questo modo

Le strade si colorano di maschere, coriandoli e stelle filanti. La festa entra nel vivo.
Un tripudio di gioia e allegria contagia grandi e piccini, mentre il ritmo incalzante della musica trascina tutti in un vortice di danze e divertimento.

Nell’aria si diffonde un profumo dolce e intenso. L’impasto di farina, uova e zucchero, arricchito con un pizzico di fantasia, si trasforma in una sinfonia di bollicine dorate che si tuffano nell’olio bollente: è l’aroma inebriante delle chiacchiere di Carnevale, dolci tipici che si preparano nel periodo precedente la Quaresima, conosciuti in ogni regione d’Italia con un nome diverso: frappe, bugie, cenci o crostoli, solo per citarne alcuni.

Ingredienti semplici e facile preparazione per fare un dolce goloso che rappresenta una celebrazione della cultura italiana e del suo ricco patrimonio culinario: in ogni morso si assapora la storia, la convivialità e il gusto autentico del Carnevale, un periodo di allegria e spensieratezza che ci invita a lasciarci andare a un vortice di colori e sapori.

Dove nascono le chiacchiere di Carnevale?

Si pensa che le origini delle nostre chiacchiere di Carnevale risalgano all’antica Roma dove, in occasione dei Saturnali, si preparavano dolcetti fritti simili, chiamati frictilia. Dolci fritti nello strutto, per questo dal sapore più intenso e sapido, corretto poi con l’aggiunta di miele subito dopo essere stati scolati e conditi infine con del pepe macinato, dei semi di papavero e, più avanti nel tempo, anche della cannella.

Per la preparazione dei frictilia si usava, con molta probabilità, della farina di farro, con un risultato finale poco croccante e più morbido. A differenza delle nostre chiacchiere, i frictilia avevano una forma rotonda che si otteneva usando una ciotola come un coppapasta.

Dolci semplici, si preparavano rapidamente e si consumavano per strada durante la festa dei Saturnali. Catone, nel De Agri Cultura, suggeriva di prepararli mischiando «formaggio di pecora e semola di grano nella stessa quantità. Poi farai le palline, quante ne vuoi. Scalderai in una padella del grasso. Le cucinerai una alla volta o due alla volta; le girerai frequentemente con due cucchiai di legno; quando saranno cotte le toglierai; le bagnerai con del miele; sbriciolerai sopra semi di papavero: le servirai in questo modo». Nell’antico ricettario attribuito ad Apicio, il De Re Coquinaria, si descrivono frittelle tonde preparate con uova e farina, fritte poi nello strutto e arricchite con il miele. Anche Petronio accenna ai frictilia, che per lui erano globulos, «bolle di parole in salsa di miele e tutti quei fatti e detti che sono come conditi col sesamo e il papavero».

I frictilia venivano distribuiti in strada durante la festa dei Saturnali, in onore di Saturno, il cui culto in Italia era antichissimo. Iniziavano il 17 dicembre con un banchetto pubblico e, inizialmente, duravano solo un giorno: sotto l’imperatore Domiziano arrivarono a durare anche sette giorni. Questa festa era consacrata alla gioia e al divertimento, si interrompevano affari, impegni e faccende pubbliche, si lasciava spazio agli scherzi e ai motteggi, alla sfrenatezza e a comportamenti licenziosi, si poteva giocare d’azzardo. Le consuete gerarchie si capovolgevano e gli schiavi prendevano, solo temporaneamente, il posto dei loro padroni: avevano libertà di parola e potevano mangiare con loro. Tutto si fermava: non si lavorava, scuole e tribunali restavano chiusi.

Nel tempo e con il trascorrere dei secoli, la ricetta delle chiacchiere si è arricchita di nuovi ingredienti come il burro, le uova e il liquore. La cannella fu aggiunta alle chiacchiere nel Medioevo, in occasione delle feste dei folli organizzate in Europa dal clero al posto dei Saturnali, e, ben presto, entrarono nella tradizione del nostro Carnevale.

Nel XVI sec. compaiono le prime ricette di chiacchiere nei ricettari ufficiali, come il Libro de Arte coquinaria di Bartolomeo Scappi.

Perché le chiacchiere di Carnevale si chiamano chiacchiere?

Un aneddoto sulle chiacchiere, più leggenda che verità, risale al XIX secolo. 

Durante i preparativi di una cena intima tra amici, la Regina Margherita di Savoia, la stessa a cui si deve la celebre pizza margherita, chiese al cuoco Raffaele Esposito un dolce che fosse all’altezza dell’occasione: veloce da preparare, perfetto per accompagnare le “chiacchierate” con i suoi ospiti e, soprattutto, da gustare con facilità. Egli diede vita a una vera e propria opera d’arte culinaria: le chiacchiere di Carnevale. Sottili, leggere e delicate, queste deliziose sfoglie fritte si rivelarono perfette per l’occasione e conquistarono subito il palato della Regina Margherita e dei suoi ospiti. Da allora, questo dolce semplice e raffinato si è diffuso in tutta Italia, diventando un simbolo del periodo carnevalesco. La sua storia ci ricorda come, a volte, le creazioni più geniali nascono dalle esigenze più semplici, e come il cibo possa essere un perfetto complemento per le occasioni di condivisione e di gioia.

Le chiacchiere di Carnevale sono ancora oggi un dolce molto popolare in Italia e sono un simbolo di gioia e festa. La loro ricetta è semplice e versatile, e possono essere preparate, anche a casa, in diversi modi, con o senza liquore, con lo zucchero a velo o con il miele. Oltre ad essere un dolce delizioso, le chiacchiere di Carnevale sono anche un modo per celebrare la tradizione e la cultura italiana.

Che vino bere con le chiacchiere di Carnevale?

Per contrastare l’untuosità della frittura, la scelta ideale ricade su un vino bianco con moderata acidità: due vini che si sposano perfettamente con le chiacchiere sono Fania ed Eileos, con una preferenza per quest’ultimo che, essendo un varietale da Moscato, richiama una nota dolce se non altro olfattiva ed è fresco al palato. 

Se, però, prediligete il vino rosso, un’alternativa valida può essere il Fanus, blend di Nero d’Avola e Syrah, che si sposa bene con la dolcezza delle chiacchiere e crea un abbinamento originale e armonioso.

Scegliete e prenotate la vostra esperienza tra vino e cibo!

PERCORSI DI VINO

Ogni calice di vino in degustazione, insieme agli assaggi più caratteristici della gastronomia locale, è una vera esperienza di gusto e del territorio di produzione, di cui racchiude storia, cultura e tradizioni.
Immergersi nella degustazione del vino è come avventurarsi in un mondo di meraviglia e sorprese:
lasciatevi incantare dai nostri Calici di Storia!
Date uno sguardo alle nostre esperienze in cantina e scegliete quella che preferite!

Condividi l'articolo!

Letture consigliate

Speciale Natale 2024 vini da regalare per Natale

Speciale Natale 2024: vini da regalare per Natale

Natale si avvicina e i nostri vini, nella loro veste migliore, si preparano ad accompagnare pranzi e cene natalizie e, perché no, a diventare il dono perfetto per amici e familiari. Se non hai ancora le idee chiare o stai pensando di regalare vino a Natale, scegli una delle nostre nuove Gift Card natalizie oppure una delle eleganti confezioni regalo vini con i nostri Calici di Storia.

Continua a leggere...
Che vino bere con la mostarda di uva?

Che vino bere con la mostarda di uva?

Ottobre è tempo dei tipici dolci preparati con il mosto cotto: la mostarda di uva e i lolli di mosto. Profumi e sapori che ci riportano indietro nel tempo, alle ricette di una volta, alle antiche e genuine tradizioni contadine della nostra terra che sopravvivono ancora nei canti popolari, al cibo che, come il vino, è vivo puntello a queste caduche memorie, capace di tratteggiare le usanze di un passato ormai dimenticato.

Continua a leggere...