MOSTARDA DI UVA E LOLLI DI MOSTO
L’autunno in Sicilia, con i suoi profumi e sapori, evoca memorie, usanze e tradizioni del passato, quando la raccolta dell’uva era una festa che accomunava, univa e coinvolgeva intere famiglie e villaggi, un momento di gioia pura e intensa in cui la generosità della natura e la dura fatica dell’uomo ricevevano un’adeguata celebrazione e una meritata ricompensa.
«Nel palmento – è il vivo racconto del giornalista e storico Bruno Villari – dove si versavano i cofani ricolmi, gruppi di ragazzi volontari, i piedi nudi e i calzoni rimboccati fino alle cosce, si divertivano a pestare aritmicamente sui mucchi d’uva. Poco dopo un fiotto di mosto denso e scuro si scaricava nella vasca sottostante insieme a raspi e manciate di chicchi. I vicoli del villaggio odoravano di mosto e dolciastro. I muri delle case si coloravano di rosa e anche le persone portavano sui calzoni e sulle camicie le inconfondibili macchie di mosto. Le mosche infestavano i palmenti e segnavano il tracciato dove passavano i ‘cofinara’ e gli ‘utrara’ che trasportavano il mosto dal palmento alle cantine in contenitori di pelle di capra».
Ovunque, nei giorni della pigiatura dell’uva, si spandeva il profumo del mosto. Una parte di esso, adeguatamente cotto, diveniva ingrediente e condimento per tante e diverse ricette, preparazioni culinarie tradizionali, semplici e gustose, come la mostarda di mosto d’uva e i lolli di mosto, questi ultimi detti anche cucureddi.
Perché si chiama mostarda di uva?
Dolce povero che incarna le tante e preziose tradizioni popolari della Sicilia, la mostarda di una è una ricetta contadina, una specialità tipica, in particolare, della zona dei Monti Iblei. Il termine mostarda deriva dal latino mustum ardens e allude al mosto di vino, il succo d’uva appena spremuto dopo la vendemmia che, per via dell’aggiunta di farina di senape, diventa “ardente”, piccante. Questo era un metodo che, un tempo, serviva per conservare alimenti particolarmente delicati e deperibili come la frutta.
In dialetto siciliano, la mostarda di mosto d’uva era detta anche mustata ri vinu cuottu, perché si preparava utilizzando una parte del mosto ricavato dalla spremitura delle uve dopo la vendemmia. Il mosto, a cui veniva aggiunta della cenere bianca, ricavata dal legno di due alberi molto diffusi sui Monti Iblei, ulivo e carrubo, doveva riposare almeno un giorno. Dopo la filtratura, al mosto si aggiungeva la farina. Il composto veniva così bollito e, quando era sufficientemente addensato, versato in stampini con l’aggiunta di granella di mandorle tostate.
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I lolli di mosto o cucureddi
Nel ragusano, invece, il mosto cotto era ingrediente di un altro dolce tipico della zona e del periodo della vendemmia: i lolli di mosto, la cui preparazione richiedeva almeno due giorni.
Erano dolcetti simili a gnocchetti sardi o cavatelli. Si ottenevano impastando la farina di grano duro con il vino cotto e, cioè, con il mosto appena spremuto e bollito per almeno un’ora insieme a un cucchiaio di cenere per litro. Per questo motivo, nella zona del modicano, erano anche detti lolli ‘nto mustu ancinniratu. Raffreddato per almeno un giorno e finemente filtrato, lo si faceva bollire nuovamente per accogliere i lolli appena preparati, da condire una volta raffreddato il composto, con una spolverata di mandorle tritate o buccia di limone o di arancia grattugiata.
Abbinamento vino e mostarda di uva: il nostro consiglio
Il Moscato di Siracusa è un vino dolce aromatico: la dolcezza naturale, mai eccessiva o stucchevole, del nostro vino Moscato Don Nuzzo ben si concilia con i sapori e i profumi tipici dell’autunno e, in particolare, con l’agrodolce della mostarda, creando un abbinamento gustoso e armonioso. Un piacevole complemento che, con i suoi intensi profumi di miele e frutta matura, il retrogusto di fichi e datteri e la gradevolezza del sorso rappresenta un’esperienza da non perdere per chi vuole scoprire i sapori tipici della Sicilia.
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